Incontro Maurizio Tittarelli Rubboli in una calda mattina di luglio, ci eravamo conosciuti tre anni fa e nel tempo ho sempre percepito tra noi quella sintonia che non ha bisogno di mezzi termini, la chiarezza e spontaneità con le quali si presenta dicono tutto. L’occasione oggi è un riconoscimento nazionale, meritato, che mi spinge a saperne di più.
Congratulazioni Maurizio per il premio MAM- Maestro d’Arte e Mestieri istituito dalla Fondazione Cologni dei Maestri d’Arte di Milano, finalmente un riconoscimento alla tua carriera. Ripercorriamo insieme la tua attività artistica, quando hai iniziato a mettere “le mani in pasta”?
“Sin da piccolo ascoltavo ed ero affascinato dai racconti di ceramica di mia madre, dei segreti di famiglia, della nostra bottega. Mia madre, però, è sempre stata attenta a non farmi affezionare troppo a questo mestiere, reduce anche da una vita faticosa e poco remunerativa, ha voluto fortemente che mi laureassi e che avessi quello che all’epoca era considerata la sicurezza: il posto fisso. Anche la presenza di un padre colto, grecista e latinista, mi ha reso consapevole che solo con l’attività della ceramica non sarei andato lontano, così fino ai miei 23 anni nulla presupponeva che io mi dedicassi all’arte ceramica. Poi però, una certa spinta è arrivata, la fortuna di poter realizzare il sogno di creare delle opere è stato supportato dalla sicurezza di quel posto fisso che tanto mia madre voleva, e devo dire che, a ragione, mi ha aiutato a non dover avere vincoli in funzione di una necessità, quindi ho creato le opere che volevo, senza condizionamenti. Mi ritengo una persona molto fortunata per questo, sono potuto crescere nella mia attività artistica e mi sono sempre messo in gioco grazie ad un intuito femminile, quello della mamma, ma anche agli insegnamenti delle vicende di famiglia che riportano alla bisnonna Daria.”
“Le donne della mia famiglia mi hanno insegnato molto.“
Con il tempo ti sei inserito nel panorama dei ceramisti umbri contemporanei, da dove nasce oggi l’ispirazione per la creazione delle tue opere?
“Nasce da un sentimento che ho nei confronti della letteratura. Basta una frase letta, o un’aforisma sentito. Quando una frase suscita in me interesse la elaboro e la faccio mia creando intorno il concetto che mi porta alla realizzazione dei miei pezzi. In questi giorni, per esempio, sono molto attratto da frasi e citazioni che riguardano la contemporaneità. Sento un forte desiderio di nuovo, di mai visto, di progressione e voglio manifestare il mio disappunto nei confronti della ripetizione artistica, dell’imitazione di quelle ceramiche con decorazioni classiche che hanno ormai riempito gli scaffali di botteghe e di cui non abbiamo più bisogno. C’è la necessità di rinnovamento nel nostro mondo, di stimoli nuovi e di collocare la ceramica artistica contemporanea in nuovi panorami culturali. Una frase di Osvaldo Licini mi è apparsa quasi come un oracolo: “Una cosa è certa: noi non faremo più della pittura archeologica o imitativa come le scimmie. A quella vecchia favola della pittura imitativa noi tireremo il collo”. Questa frase mi risuona in mente e ne farò il leitmotiv della mia arte futura, c’è bisogno di nuovo, di mai visto.”
Sei anche l’erede di una dinastia di ceramisti, quella dei Rubboli, e hai visto finalmente onorato il luogo dove la tua famiglia ha portato avanti l’attività sin dall’800: il laboratorio di Gualdo Tadino che è diventato museo, quale significato ha per te questo?
“Per molti anni varcavo il cancello della fabbrica Rubboli in Via Discepoli a Gualdo Tadino e guardando intorno venivo preso da un sentimento di gratitudine per ciò che questo luogo mi ha regalato ma anche di solitudine per quell’ impotenza nel vederlo deteriorarsi giorno dopo giorno. Camminavo in quegli spazi vecchi e sentivo lo scricchiolio dei miei passi, entravo nei locali abbandonati, dove l’odore dell’argilla si sentiva ancora, toccavo le muffole che erano state di Paolo Rubboli e mi sporcavo della vecchia fuliggine che era rimasta fissata lì da tanto tempo. Girando avvertivo ancora la presenza dell’uomo e quei frammenti di ceramica che brillavano ancora, quei lustri oro e rubino davano ancora un segno percepibile di vita. Ho iniziato un viaggio a ritroso nel tempo, mi sono documentato sulle vicende tante volte narrate in famiglia, ho ritrovato i volti di tante foto sbiadite e ho immaginato quei luoghi e quelle vite che conoscevo solo nei racconti. Ho pensato tanto da interiorizzare le vicende e le esperienze, avvicinandomi a quel passato che ho sentito di condividere con tutta la popolazione gualdese ridando nuova vita ad un luogo che, grazie all’investimento dell’amministrazione comunale con il supporto di fondi regionali ed europei, oggi è un fiore all’occhiello per la città. Spero che il museo salverà la storia della tradizione ceramica gualdese salvaguardando un patrimonio come i forni a muffola ottocenteschi per la terza cottura, gli unici esemplari rimasti, probabilmente nel mondo, di questo tipo di forno.”
“Ho iniziato un viaggio a ritroso nel tempo, mi sono documentato sulle vicende tante volte narrate in famiglia, ho ritrovato i volti di tante foto sbiadite e ho immaginato quei luoghi e quelle vite che conoscevo solo nei racconti”
Torniamo alle donne della tua famiglia, quanto è stata importante per te la figura di Daria Rubboli?
“Fondamentale, l’ho scoperta nella ricerca storica e l’ho cercata ogni volta che mi scoraggiavo di fronte ad ogni ostacolo. Se dobbiamo essere grati a Paolo Rubboli per la tecnica del lustro che ha cambiato e caratterizzato la ceramica di Gualdo Tadino, a Daria dobbiamo la tenacia di aver portato avanti, nonostante le controversie, un patrimonio tradizionale che tutto il mondo ci ammira. Lei è stata la mia àncora, quella che mi ha dato suggerimenti nei momenti di sconforto, e ce ne sono stati tanti! Insieme a mia madre, lei mi ha tramandato la passione per la ceramica. Una donna apparentemente impeccabile che però soffrì molto dei dissidi interni alla famiglia. Lei nutriva, per la fabbrica di ceramica, un amore profondo che la riportava al legame col passato e a volte a sentimenti contrastati, ma mi ha trasmesso, come essenza vera, la struggente verità di un’esperienza umana importantissima che io ho assimilato. Tra le frasi che mi hanno ispirato, una di Stendhal la trovo appropriata per le donne della famiglia Rubboli: “Ogni genio che nasce donna è perduto.” Al contrario, il sacrificio e l’abnegazione delle donne nella mia famiglia hanno dato vita alla prosecuzione di una tradizione e alla mia formazione artistica.”
Maurizio, oggi il Museo è finalmente arrivato a compimento, hai avuto diversi riconoscimenti per questo e per il lavoro che tu hai svolto in questi anni. Dall’esposizione durante l’Expo di Milano al premio Mam – Maestro d’Arte e Mestieri per la ceramica. Cosa auguri al futuro della ceramica, quale caratteristica pensi possa dare un nuovo slancio per il futuro artistico tuo e dell’arte contemporanea?
Intanto sono rimasto felicemente colpito del premio ricevuto dalla Fondazione Cologni dei Maestri d’Arte che ringrazio, devo ammettere che questo premio ha scatenato in me un fermento interiore molto importante, mi sento riconosciuto e apprezzato dopo tanti anni di lavoro e ricerca. Questo mi carica e mi dà l’energia per esplorare ancora nuove strade e realizzare nuove opere. Più che un augurio all’ arte ceramica contemporanea, una speranza: che venga riconosciuta e apprezzata non solo nella forma ma anche nelle esplosioni di colori che oggi si tende ad eliminare, le nuove ceramiche sono per lo più bianche, nere o sfumature di grigio. Così si è passati dall’ imitazione del passato, di cui parlavo prima, al minimalismo estremo dove il colore non è più considerato. Invece trovo che il colore debba essere riconosciuto non solo come espressione estetica, il colore ha un’anima, dà un’emozione e spesso rimane impresso nei ricordi. Io amo il colore e trovo in tutto ciò che è intorno a me l’ispirazione alle mie opere che sono sempre colorate. Ecco, vorrei essere riconosciuto e portare avanti una nuova concettualità dove il colore diventa parte del pensiero insieme alla forma. Credo molto al potere sensoriale, quindi sensuale, dei colori. Così ti lascio con un’altra frase a me cara, è di Claude Monet e ci ricorda che dobbiamo imparare da ciò che ci circonda:
“Se sono diventato pittore, forse lo devo ai fiori”.
Paola Butera per Arte & Luoghi